martedì 26 luglio 2016

MADAME PIPI

Di Tinto Brass e Caterina Varzi. La copertina si vende da sé: in campo roseo una Tour Eiffel, simbolo fallico, ma capovolta: diventano le cosce strette di una signora. Sottotitolo: un romanzo.

Prima ancora di chiedermi chi fosse la Varzi, mi sono chiesta perché questo sottotitolo. Il Tinto nazionale invece lo conosciamo tutti, per la sua porcellaggine nazional popolare, che sulle prime, mi influenzava il significato del titolo. Nel sesso esistono, e sono adoperate da molte più persone di quelle che si possano sospettare, le cosiddette pratiche dannunziane, che prevedono l'ingestione, anzi, credo la parola adatta sia l'ingurgitare, delle nostre produzioni più intime, per ricavarne piacere erotico. Perciò, visto l'autore, visto il titolo, pensavo già ad una pletora di tali pratiche, che, detto per inciso, aborro. Quindi iniziai la lettura con malavoglia. 

Niente di tutto ciò.

Pur essendo femminista, la mia onestà intellettuale mi ha sempre portata a sostenere che noi donne siamo superiori agli uomini persino nel male. Questo un romanzo, senza fare spoiler, ne è la conferma. Vorrei poter raccontare qualche scena, ma non lo faccio.

Quindi, ne parlo per ciò che più mi ha toccata intimamente: il rapporto madre single/figlio invalido, perché è il presupposto della mia vita di questi ultimi anni. La protagonista femminile, Antoinette, è per l'appunto una madre sola, un tantino appassita ormai, alle prese con un onesto lavoro (la Madame Pipì del titolo è lei, scopriamo subito dalle prime pagine che è un nomignolo attaccatole dagli avventori del pub in cui lavora come commessa ai bagni) e con le cure dedite al figlio handicappato, che l'assorbono tutto il tempo libero, esattamente come successe a me per alcuni anni. In questo tratto del un romanzo, sono stata male, lo ammetto.

Abbandonata anni or sono dal partner, nel suo intimo, la protagonista coltiva il sogno di incontrare un uomo che la risollevi e la salvi dalle sue tristi condizioni. E qui ho cominciato a prenderne le distanze, perché non ho mai cercato un uomo cui poggiarmi. Antoinette invece lo incontra. È François, un uomo colto, raffinato, un medico, un Master, come si direbbe secondo certa terminologia cara agli ambienti BDSM. Costui non solo la domina sessualmente, degradandola e togliendole progressivamente la libertà, ma perfino le impone di rinchiudere il figlio in un istituto, perché sia più libera e disponibile per le sue perversioni. Pur di possederlo, Antoinette gli si sottomette e gli ubbidisce, fino a quando. E qui mi fermo, per fare alcune considerazioni.

Se nel primo tratto del un romanzo sono stata male perché vedevo in Antoinette riflessa la mia immagine di donna sola con figlio handicappato da allevare, nella seconda parte invece la mia autostima ha subito una bella impennata, congratulandomi con me stessa per aver cresciuto una bimba gravemente invalida senza l'aiuto di partner alcuno. Col famigerato senno di poi, forse avrei avuto bisogno di un uomo al mio fianco. Infatti, tutta spesa e protesa nella cura e nel recupero psicomotorio di mia figlia, un bel giorno il mio corpo mi disse STOP, facendomi scoppiare l'aneurisma che avevo nel cervello. Ora il papà finalmente si è accorto di avere una figlia e se ne prende cura totalmente. Non tutto il male vien per nuocere, recita un detto delle nonne e dei buddisti. Ma questa è un'altra storia.

La Varzi scopro essere una specialista della fenomenologia amorosa, nonché partner nella vita di Tinto Brass. Il suo contributo nella costruzione dei due protagonisti si rivela prezioso e assennato.
Resta inevasa la mia domanda: perché un romanzo. Forse perché la sua drammatica conclusione da film horror è solo una delle tante possibili.

Consigliato a papà di figli invalidi, a lettori e fruitori di BDSM, ad appassionati di scene splatter.


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