sabato 23 aprile 2016

IO SONO IL NORDEST


Voci di scrittrici per raccontare un territorio
a cura di Francesca Visentin

Tutta presa dallo studio del buddismo, ho letto solo libri che ne parlano, che lo spiegano, che raccontano rivoluzioni umane. Poi in aprile, per tre weekend di fila, ho seguito un sedicente workshop, che in realtà era un'ingegnosa operazione di vendita finanziata non dagli ideatori, Antonio Tombolini Editore e una piattaforma online StreetLib, ma dagli stessi corsisti (geniale Dr. Tombolini!), durante il quale, più che lavorare come prometteva la parola workshop, ho appreso una nuova strategia imprenditoriale per scardinare il mondo da macero dell'agonizzante editoria italiana. Se funziona, Tombolini e i suoi seguaci faranno il botto. Ho usato il SE, perché funzionerà solo SE riuscirà a creare seguito e collaborazione tra autori ed altri piccoli editori.

Tra costoro, ve n'era uno in particolare, il dr. Paolo Spinello della Apogeo Editore, di Adria (Rovigo), con il quale sono stata riunita per una sorta di esercitazione. Ne ho specificato la provenienza perché è importante per il libro di cui mi ha omaggiata, in cambio del mio CORPI RIBELLI.

IO SONO IL NORDEST, Voci di scrittrici per raccontare un territorio, è un libro (cito dai ringraziamenti) da Spinello “fortemente voluto e portato a termine, con tanto impegno, pazienza, professionalità e consapevolezza”. Trattasi di antologia di scrittrici che sostiene il Centro Veneto Progetti Donna Onlus, la quale aiuta a sua volta le donne italiane e straniere in difficoltà, vittime di violenza e maltrattamenti. Già questo sarebbe un ottimo motivo per l'acquisto. Ma ve n'è un secondo non meno importante: tutte le autrici sono rinomate scrittrici e giornaliste, poetesse e blogger affermate per meritocrazia. Tra loro Michaela Karina Bellisario redattrice per "iodonna.it"che ho avuto il privilegio di conoscere personalmente due anni fa ad altro workshop di scrittura e che è presente tra i miei selezionatissimi amici di Facebook. Nonché compagna di fede. Il suo è stato il primo racconto che ho letto. Devo ammettere che una parte antica di me, la super donna manager che ormai ho lasciato nel passato, si è riconosciuta nel personaggio così ben tratteggiato da Karina: Monica. Ma Karina non lascia nulla al caso. La voce della coscienza di Monica l'ha incarnata in Lilly, una buddista. C'è sempre una saggia Lilly tra i buddisti, anche nel gruppo che frequento io. Monica supera la crisi (Sono una madre assente, una pessima madre. Basta consigli di amministrazione, voli aerei, meeting alle sette del mattino) quando si apre al mondo esterno e coglie la vita che “è a pochi metri da lei.” Questa lezione buddista del qui e ora mi commuove profondamente.

Tutti i racconti sono efficacemente in tema con l'azione benefica del libro. Parlano di come le donne siano in lotta con i rispettivi ambienti in cui sono chiamate a vivere, nei contrasti con partner distratti o fedifraghi e nella sopravvivenza alla figliolanza (IO MI SALVERO', di Micaela Scapin), nella necessità di sentirsi riconosciute non solo in ambito lavorativo ma anche dalla Società (PRANZO D'ANNIVERSARIO, di Francesca Diano), di gravidanze indesiderate e impreviste causa patologie invalidanti tipicamente femminili mal diagnosticate (IL MONDO E' PIENO DI STRONZE, di Federica Sgaggio), dello sforzo di essere insegnanti con adolescenti pieni di piercing (VORREI CHE TU MORISSI, di Mary B. Tolusso), della scoperta di un fantomatico glass cieling quando scema la giovine bellezza (BETTY LA BELLA, di Francesca Visentin), di come cambia il corpo proprio e lo sguardo altrui quando si è in stato interessante (STATO DI GRAZIA, di Irene Vella), della necessità di lavorare restando fedeli e vicine ai propri figli (UN MONUMENTO PER LE ZIGHERANE, di Isabella Bossi Fedrigotti), di come sia difficile rinunciare alle proprie ambizioni per un uomo (NOI TRE, di Irene Cao) solo per citare alcuni dei temi toccati.

Visto il mio impegno nella lotta contro le violenze di genere e il sessismo, questo libro mi ha scossa.
Consigliato a chi ancora non conosce le donne e ambisce a farlo sempre meglio.










giovedì 21 aprile 2016

LA VITA SESSUALE DELLE GEMELLE SIAMESI

Temo di aver esaurito l'opera omnia di Irvine Welsh. Lo dico con rammarico, perché quel suo stile di scrivere scandaloso e shockante di storie sporche e maleodoranti che sconfinano nel genio è ormai l'unico ammissibile. Mi mancava questa delle GEMELLE SIAMESI, l'ho letta in un soffio, nonostante le 427 pagine, ringraziamenti compresi.

Non è un romanzo snello (non uso a caso la parola SNELLO, quando lo leggerete, ne capirete il motivo!) e facilmente digeribile. Lo stile di Welsh si edulcora a tratti, a seconda della voce narrante. Il plot prende corpo dal parallelismo tra, da una parte, due VERE gemelle siamesi, tenute assieme per la parte centrale del corpo, e, dall'altra, una coppia di donne, incontratesi fortuitamente, di cui una è allenatrice sportiva con fisico di bomba, bisex, l'altra è un'obesa artista, che, nonostante il suo genio artistico, o forse proprio per questo, è zerbinata dall'ex partner.

Tra di loro si stabilisce un rapporto morboso tale da essere paragonato alla storia parallela delle gemelline siamesi che la TV propina in continuazione. Turpiloquio a parte, questa volta meno intenso, il romanzo altalena tra diverse voci e stili, sembra che i personaggi vivano di vita propria e conducano lo scrittore verso luoghi a lui sconosciuti. Emergono man mano che procede grazie alle vicende che li delineano, come del resto lo snodarsi del plot stesso.

Infatti, Welsh inconsapevolmente, o forse no, ci riserva un finale sorprendente, quasi da noir, come mai aveva avuto occasione di scrivere prima de LE GEMELLE. Se amate il Welsh di TRAINSPOTTING, questo libro non fa per voi. Consigliato a Trainer sportivi con ambizioni da Killer e a Obesi con velleità da Artista.

martedì 19 aprile 2016

IL FLIPPER DI POPPER. Azzardi, trucchi e segreti della filosofia contemporanea

Una storia della filosofia contemporanea come mai si legge nei licei. Purtroppo. Zap Mangusta continua a sorprendermi nei suoi prodotti cartacei. Spaccando il capello in 4 trovato nell'uovo, esamina 26 autori spessamente autorevoli in meno di 400 pagine, compiendo l'impresa che tutti gli amanti della filosofia hanno sognato di fare ma nessuno ha mai avuto voglia di fare. Me compresa.

Riesce ad attribuire perfino un punteggio ai singoli pensatori, in stelline e quarti, partendo dalla massima valutazione in cinque stelline per Adorno e Popper, procede a botte da quarti in meno fino Spencer, le cui striminzite due stelline lo fanno apparire quantomeno sprovveduto e reietto. Zap lo definisce: il pisquano. In partenza gli attribuisce tre stelline sulla fiducia, poi di quarto in quarto, lo riduce ad un disastro involutivo pari a due stelline. Ed è già tanto, dice Zap, conducendo in modo feroce la disanima del capello spaccato in quattro.

Un metodo chirurgico senza pietas che Zap realizza per 24 volte. Così ci abitua a capire la bontà di un pensiero a forza di quarti. Ma quando arriviamo ai suoi preferiti, restiamo spiazzati. Infatti vorremmo la stessa feroce disanima in positivo, ma non la fa. Accetta supinamente la grandiosità di Popper e di Adorno, lasciandoci come poppanti delusi, disattesi, disadorni.

Consigliato a coloro che hanno avviato un corso di studi metafisici, scientifici, letterari. E a quelli che, concluso il liceo senza proseguire, sono arrivati a fine programma accademico senza aver avuto la possibilità di esplorare il pensiero contemporaneo.

De IL FLIPPER DI POPPER la parte migliore è l'ultima, quella che trattandosi di autobiografia, sareste tentati di NON leggere: non perdetevela! Buon divertimento (intellettuale, ovvio!)  

IL LIBRO DELLE VERGINI IMPRUDENTI

Inganno. La sola parola che mi si affaccia alla mente per descrivere questo libro è INGANNO. Comprato come raccolta corale di cinque racconti di donne, più l'ultimo a firma di un uomo, si chiude con l'ammissione che son tutti scritti da lui. L'assassino del libro che ha ricevuto il carisma a
delinquere da un editore sprovveduto, si chiama Enzo Di Pasquale. Tuttavia, durante la lettura, pur passando da un'autrice all'altra, mi accorgo di quanto rimanessero invariati stile letterario e temi, eppure resto agganciata da ciò che mi disse Serafina Ignoto, segretaria di edizione della casa editrice che me lo vendette al Salone del Libro BUK, di Catania, cercando giustificazioni (che non trovavo).

Il Di Pasquale è ossessionato dal tema di Lesbo. Quasi tutte queste donne annoverano nei loro vissuti una vicenda d'amore omo. Lungi da criticare o giudicare, l'autore ne sembra attratto morbosamente. Pare dalla chiusura con i ringraziamenti, che le cinque donne autrici lo siano davvero ed esistano nel reale. Cerco nuovamente indizi nel libro, ad una seconda, terza, quarta lettura. Rileggo anche la chiusa del Di Pasquale. Non ci sono prove che i racconti siano scritti distintamente. Lo stesso Di Pasquale dichiara: “Cari lettori, so di avervi disorientato e me ne scuso. Per chi non l'avesse capito, sono il Creatore”. La mia convinzione che sia tutto opera dell'uomo si radica ancor di più. 

Questo purtroppo mi fa perdere il piacere di aver letto qualcosa di valido, come raramente mi succede. Il testo prende efficacemente avvio da un passaggio del Vangelo di Matteo, 25, 10 – 13. Si costruisce attorno a donne dai nomi di Sante, presunte vergini prudenti, Sante di quelle FORTI in seno alla Chiesa Cattolica. Queste Sante però, mi conquistano perché, come tutte le mortali, hanno cedimenti carnali o morali, assumono su di sé il ruolo di seminatrici di dubbi contro i dogmi. Sono dubbi che ce le fanno sentire sorelle, più vicine, più vinte, più mortali. 

Tutte unite da un legame comune con la loro terra: l'Isola, ovvero la mai nominata Sicilia, quasi fosse un topos innominabile, e per questo più prezioso. Il racconto si snoda a fatica tra le singole vicende, impedisce al lettore la troppa facilità, lo obbliga a ragionare, a meditare, sulla condizione della sicula, della Sicilia, della donna in generale, sull'eterno femminino. Nonostante l'inganno, in fondo ho gradito. O forse proprio per questo. 

A VOLTE RITORNO

Ecco il Gesù che tutti vogliono. John Niven, se solo non avesse questo cognome dalle riminiscenze così hollywoodiane, che il Signore lo abbia in gloria, ha scritto un testo tra i più fantastici che abbia letto negli ultimi anni. E dire che leggo un centinaio di libri l'anno, 10 più, 10 meno. Sa miscelare misticismo e populismo, spiritualità e bassezze, musica e letteratura, catarsi e miseria, ecologismo e riciclismo, rivincita e demagogia, guerra e amore, depressione e lieto fine nelle dosi che piacciono al pubblico lettore. Gesù VINCE. Dio VINCE. 

Mi colpì la copertina: da sempre attratta dalla bellezza maschile, vi è il primo piano di un modello che definire divino è un eufemismo. Ovviamente dotato di aureola. A dire il vero, le prime 65 pagine, raggruppate sotto il titolo PARADISO, sono un tantino stucchevoli. Santi che si danno pacche sulle spalle, Jimi che fa jamming con Gesù, Dio al ritorno da una vacanza di qualche migliaio di anni, gli apostoli si struggono di gioia e serenità. Mai Paradiso fu più banale e scontato, tonnellate di marjiuana a parte. Eppure, c'è subito un click. 

La scena successiva è a New York. Gesù è alla guida di una banda di dropout per saccheggiare spazzatura. Eh sì, la spazzatura dei supermercati è costituita da cibarie ancora fresche, non scadute, solo ammaccate o dalle confezioni troppo rovinate per essere poste in vendita. Lui lo sa (per forza, è il figlio di Dio) e guida i suoi diseredati all'approvvigionamento più bieco. Conoscessi di più il Vangelo, riconoscerei ogni figura negli apostoli, ma ormai conquistata dalla potenza di Niven, mi fido e proseguo in un soffio.

Il libro è costituito da 380 pagine. Le prime 300 le leggo in una notte. Gesù è dipinto come novello Kurt Cobain che partecipa e stravince (moralmente) un talent reality. Lascia lo scettro a quello dopo di lui e si ritira in Culolandia a beneficiare dei suoi successi economici. Fonda una comune di sballoni e sembra vivere in serenità. Invece no. Un gomblotto di istituzioni care al Sogno Americano riescono ad inchiodarlo alla croce mediatica, ottenendone la condanna a morte. La bellezza di un libro, eh sì BELLEZZA: non efficacia, stile, narrazione. Bellezza proprio, è data dal finale. 

Qui, dove lungo lo snodarsi della narrazione è continuo il riferimento a droghe, allucinogeni, stupefacenti, è strepitoso: si riferisce alla “roba” migliore che l'uomo sia mai stato capace di farsi. La letteratura.  

CAMICETTE BIANCHE

Otto marzo festa della donna. Ma si dovrebbe dire: FESTA DELLA DONNA BRUCIATA. Passano di bocca in bocca svariate leggende che attorniano questa data. Ma una sola è vera e storicamente documentata: l'incendio della fabbrica di camicette dalla forma pressapoco triangolare locata in New York denominata appunto Triangle Waist. Il 25 marzo 1911. I

l testo di Ester Rizzo elenca tutte le 38 donne italiane – in buona parte sicule - vittime dell'incendio, della incuria dei padroni (oh che gioia poter usare questa parola senza essere tacciata di vetero comunismo!), della iGnoranza con la G maiuscola. Ne fa non solo un elenco esaustivo, ma anche conduce una minuziosa indagine per archivi e luoghi ed eredi, al fine di ricostruirne le vite. Al fine ultimo, di celebrarne il coraggio e l'urlo alla vita. 

Sì, perché queste donne dimenticate dalla patria per la mancanza di lavoro e la fame, sono emigrate in la Merica (come si diceva a quei tempi) per urlare di gioia e inneggiare alla vita, con coraggio e determinazione. Affrontarono una traversata in nave di svariate settimane, una volta giunte, affrontarono la quarantena per le condizioni di sporcizia con cui sopravvissero a bordo, affrontarono la ricerca di alloggi dignitosi ma difficilmente concessi ad una donna, affrontarono l'impossibilità di capire la parola FIRE. 

Durante la lettura, sono stata colpita da due elementi. Lo stile conciso e telegrafico, senza facili pietismi né vittimismi. Nudo e crudo come le vite di quelle donne. E le pagine dove l'autrice Ester Rizzo risalta le figure femminili che hanno raccolto il testimone delle donne sacrificate sull'altare dell'arrivismo industriale e ne hanno fatto bandiera delle lotte per l'ottenimento di diritti dell'Universo Delle Donne. 

Un libro che ho letto in poche ore perché di agevole e piacevole lettura.  

CON TANTA BENZINA IN VENA

Definire noir questa storia sarebbe riduttivo. Solo stupore. Stupore per un'opera che avrei voluto scrivere io. Senza invidia, ma con tanta stima. 

Ellis sa usare il linguaggio crudo della strada, sporco e scorretto, senza offendere le sinapsi, né la moralità di alcuno. Inventa situazioni da vomito e panico, da blasfemia e antipolitica, critica sociale e investigazioni così vivide da chiedersi se per caso non le abbia vissute davvero. Non cala mai il tono. Non perde mai il ritmo. La chiusura sorprende ma ci rende saggi. 

Lettura consigliata ad anarchici forti di stomaco.


giovedì 7 aprile 2016

L'ELEGANZA DEL RICCIO

Come molte persone che presumono che, per  essere originali, occorra andare controcorrente, mi ero sempre rifiutata di leggere quello che è stato da anni riconosciuto IN E DA tutto il mondo come BEST SELLER. Oggi, che l’ho letto d’un fiato, mi stupisco della diffusione dell’intelligenza, ovvero di quanta intelligenza sia diffusa a livello mondiale, se hanno letto e apprezzato questo gioiello.

L’ELEGANZA DEL RICCIO di Muriel Barbery è un sincretismo di poesia, filosofia, arte visiva, musicale e ironico melodramma non solo piacevole, ma commovente che mai avrei creduto apprezzabile su così vasta scala. Così, oggi, ho scoperto due miei ulteriori difetti: sono presuntuosa  e pure snob. Uno dei compiti della Letteratura è quello di rivelarci cose nuove su noi stessi e questo libro lo ha fatto egregiamente.

Il plot in fondo è sempre quello: la Cenerentola scoperta dal Principe Azzurro, in chiave contemporanea e minimal. Immagino sia questo che l’ha fatto amare da tutti. E come tutte le belle storie contemporanee e minimal finisce male, per fortuna. Tuttavia, questo MALE per la protagonista è compensato da due BENE per i personaggi di contorno. Un’aspirante suicida tredicenne, che capisce quanto questa sua aspirazione sia stata un mero gioco egoistico, e un giovane drogato redivivo, che impara anch’egli ad apprezzare la vita attraverso la morte.  Le sue camelie.

Forse sono nella stagione del disgelo, quindi una naturale propensione alla lacrima facile si è risvegliata in me, ma dopo un centinaio di libri letti l’anno (dieci più dieci meno), questo è il primo che mi abbia fatta commuovere!

Consigliato ad aspiranti suicidi, donne riccie, non ricce, ancora inconsapevoli della loro bellezza,  e drogati fino agli occhi, per farsi drogare di vita!