giovedì 11 gennaio 2018

BUONASERA (SIGNORINA)

È curioso come certi stereotipi riescano a determinare subito il climax di un romanzo. Fred Buscaglione regala il titolo a Davide Pappalardo, a sottointendere un determinato ambiente di gangster, almeno in Italia. Anzi, gangster bollito, Anzi, duramente. Anzi, hard boiled, che non sapevo cosa significasse fino a questo romanzo. So benissimo che non è la traduzione, ma consentitemi di essere un pelo ironica, almeno da introdurne dignitosamente l'autore, Davide Pappalardo, che infatti ne fa ampio utilizzo.


Se sin dalle prime righe si capisce il genere di un romanzo, significa che l'autore è uno di quelli bravi, che non indugia, che va dritto al suo obiettivo, che sa usare in modo corretto la lingua italiana nelle sue molteplici sfumature, in questo caso gialle a tinte fosche (e luride e puteolenti) nei palazzi della Milano bene 1970, dove avviene un omicidio tra personaggi non del tutto specchiati, tra wiskhy di contrabbando, gestione di belle donnine, spaccio di prime sostanze stupefacenti. L'autore ci introduce Libero Russo, una “merda umana” per usare il linguaggio a lui caro, dedita all'esercizio abusivo della professione, ovvero investigatore privato con una vita piena di ex: moglie, colleghi di polizia, amici e fratelli, in quello che oggi è in realtà uno dei quartieri più gettonati di Milano: l'Isola. Io avrei scelto corso Garibaldi, dove una nota casa d'angolo ospitava uno dei casini più frequentati, gestiti da mala d'epoca.

Mi avevano lasciato addosso una sensazione da domenica pomeriggio, quando la pioggia e la foschia sono dentro di te e ti accorgi che è tutto così futile e che ogni parte del tuo essere è infetta.”
La N blu delle Nazionali senza filtro: “Una nuvola grigia emerse dalle sue narici e anche il baccalà già cucinato ci restò secco.”
Il nominare del Bar dei Fratelli Basso in zona via Plinio mi fa rimescolare qualcosa: sono ancora innamorata del mè Milan, l'unico vero amore che abbia mai tradito in vita mia. Lui, l'hard boiled Libero Russo protagonista siciliano, e l'ex collega Marione Marella, pugliese, sono noti come “Le due Sicilie” in via Fatebenefratelli (i milanesi sanno bene cosa si trovi in quella via: la questura). “... pensai che figata poteva essere un hotel chiamato Guglielmo Hotel.” Esiste, caro il mio Pappalardo e si trova in provincia di Bergamo.

Un campionario infinito di scuse e pretesti autoindulgenti, come: “Di fatto tutto l'anticipo per i vecchietti e anche il supplemento che mi avevano dato a Natale erano finiti in alcolici. Meglio così che sperperare il denaro in futilità, no? E poi erano tutte spese per strumenti di lavoro. Per esempio, il cognac mi serviva per immergermi in un'atmosfera più francese. Da quando questi marsigliesi erano arrivati in Italia, erano stati solo guai...”, “Ogni cosa che facevo o toccavo, diventava fango. Ero il re Mida della merda.”, “Il fallimento arriva da solo. Sono i successi che devono essere illustrati, in pompa magna, per beccarsi applausi e complimenti. Per le cadute basta restare fermi.” sono solo alcuni esempi di disitima autocompiaciuta del bollito protagonista.

Il Pappalardo fa citare a Libero Russo, questo irregolare investigatore privato, Scerbanenco, ovvero Volodymyr-Džordžo Ščerbanenko, scrittore e giornalista italiano di origine ucraina, forse per conferire più verosimiglianza al suo inverosimile personaggio, che dell'autore culto afferma: “Non sembrava male.” Non sembrava male? Scerbanenco è forse il massimo autori di Noir italiani.

Ogni tanto gracchiavo “suonala ancora Sam” nemmeno fossimo in Casablanca.”

Hitchcock e LA FINESTRA SUL CORTILE del 1954. UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO del 1951, altra citazione teatral cinematografica.

Mi sembrava di essere in quel vecchio film di Kubrik. Come diavolo si chiamava? (…) Rapina a mano armata.” Che è del 1956. Dato che il romanzo è ambientato alla fine degli anni sessanta, qui mi scatta la curiosità di controllare la veridicità delle date, da vera cinefila qual sono. Non la si fa al Pappalardo.

Due guardiani in camice bianco mi accompagnarono all'uscita con carezze e pacche sulle spalle, magari un po' troppo vigorose. Furono così educati e attenti che mi ritrovai accanto al cassonetto dell'immondizia, forse sin troppo vicino a bucce di banana, pannoloni, carta sporca, resti di cibo avariato, dove dovevo giustappunto buttare delle cartacce.”

Il finale è piuttosto sorprendente, tra colpi di scena affidati agli ex colleghi e malinconia per un amore passato, affidato invece al loop di Buonasera (Signorina) del già citato Fred Buscaglione.

Ps. Per essere seri, non bisogna mai prendersi troppo sul serio.
Avevo già colto con piacere l'ironia di cui è disseminato il romanzo, ma l'affermazione del Pappalardo a chiosa dei ringraziamenti (che lui stesso definisce semiseri) mi conferma che gli scritti da me più amati devono contenerne un alto tasso, come è accaduto per David Foster Wallace e il suo VERSO OCCIDENTE L'IMPERO DIRIGE IL SUO CORSO, per la silloge poetica di Patrizia Pellegrino TANTO VALE SCRIVERE, o per Roberto Marzano in una delle sue raccolte di poesia M'ILLUMINO DI MENSOLE.
Nota sulla copertina, come sono solita fare: mi fossi dovuta lasciar guidare da lei per l'acquisto, non l'avrei comprato. Questo ha fatto perdere una stellina a Pappalardo su GoodReads.

Consigliato ai lettori di gialli hard boiled in vena di ironia, ai non appassionati di gialli, ma di Bukowski, (perché gli appassionati di gialli vorrebbero meccanismi meglio oliati e più congegnati di quelli di Pappalardo), a coloro che ritengono l'ironia (o meglio, l'autoironia) salvatrice del mondo.

2 commenti:

  1. A proposito di hard boiled, la frase “Due guardiani in camice bianco mi accompagnarono all'uscita (...)" ha un sapore vagamente alla Chandler.
    Grande giallista e maestro dell'ironia, ingrediente essenziale.
    Bella recensione!

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    Risposte
    1. Grazie Lukecats per gli apprezzamenti e per seguire il blog. Onorata davvero.
      Pensai anch'io a Chandler... Questo Pappalardo è da tenere d'occhio!

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